21 Luglio 2012

L’associazione culturale A Night Like This annuncia la prima edizione di A Night Like This Festival, il 21 Luglio 2012, a partire dalle 15:30 nella poetica cornice naturale di Chiaverano, sulle sponde del Lago Sirio, alle porte di Ivrea (Torino). Un appuntamento inedito e tutto da scoprire: 20 band, 12 ore di concerti su 3 palchi, visuals, area expo per etichette indipendenti, organizzatori di eventi, prodotti handmade e degustazioni a Km zero. Un viaggio ipnotico e coinvolgente in una location immersa in un panorama da sogno, un’esperienza poli-sensoriale da vivere inaspettatamente a due passi da grandi città come Torino e Milano.

La line up prevede, in esclusiva estiva per A Night Like This Festival dall’Inghilterra, la cult band fondata da Stephen Lawrie  The Telescopes, motivo d’ispirazione per numerosissimi gruppi shoegaze degli ultimi vent’anni e il fascinoso duo dream pop londinese Summer Camp che seduce per magnetismo, spensieratezza lo-fi e atmosfere romantiche dai colori seppiati.

Ad aggiungersi a queste vere e proprie chicche straniere, una selezione di gruppi della scena indipendente italiana: Aucan, Be Forest, Drink To Me, Edipo, L’Orso, Foxhound, Girless and the Orphan, Pocket Chestnut, L’Officina della Camomilla, Lumen, Thee Piatcions, The Remington, Starcontrol, Shiva Racket, Lavinia, Croco, Le Fric d’Afrique, Somuch Akiss.

Spazio dunque sia a nomi già noti al pubblico, sia a giovani realtà emergenti.

La variegata e coraggiosa proposta artistica di A Night Like This Festival prenderà forma fuori dai più consueti circuiti musicali cittadini. Strutture convenzionate, servizi navetta che collegheranno la vicina stazione di Ivrea all’area concerti e la possibilità di pernottare nel campeggio comunale allestito sulle sponde del Lago Sirio, regaleranno al pubblico la possibilità di trascorrere un weekend estivo di puro relax sulle spiagge del Lago, nelle cui acque è possibile nuotare circondati da un paesaggio unico, lontani dal rumore del traffico cittadino.

Ufficio Stampa A NIGHT LIKE THIS FESTIVAL: Gruppo Editoriale Enotria (rif. Angela De Simone, cell. 328 7470416 – angela.desimone@enotriaeditoriale.com)

Lavinia!

Lavinia!

 

 

Indie Folk Cantautorale

Nata l’11/11/1991, data palindroma che ha sempre amato, Lavinia cresce a Udine, iniziando a studiare il pianoforte a sette anni e, pochi anni dopo, a mettere in fila i primi accordi sulla chitarra di suo padre. Durante il liceo inizia a capire quanto la musica sia fondamentale per la sua vita, e a soli 16 anni inizia a condurre il programma “School’s Out” su Radio Onde Furlane, dedicato inizialmente alle band liceali e in seguito alle etichette indipendenti. Nel frattempo stringe amicizia con molti musicisti friulani e, da quando aveva 13 anni, compone canzoni in cameretta, fermamente convinta di non farle ascoltare a nessuno. Convinzione che rimane ferma fino a una sera in cui l’amico e vicino di casa Matteo Dainese (aka Il Cane, ex batterista di Jitterbugs e Ulan Bator, fondatore della Matteite Records) le ascolta, quasi per caso. Da lí nasce la collaborazione che porterà a Magadasca, primo disco della cantautrice. Inizia un tour che vedrà la collaborazione di Stefano Pasutto (Tre Allegri Ragazzi Morti, Man On Wire) alla chitarra elettrica. Nel frattempo Lavinia si è trasferita a Milano per frequentare il corso di economia dell’arte presente in Bocconi, dove attualmente studia, curando la direzione musicale della radio universitaria e continuando a suonare sia con il suo progetto solista, sia con i Nobody Cried For Dinosaurs, band indie rock milanese che l’ha adottata da poco tra i suoi ranghi. Nuove canzoni sono in arrivo.

– Facebook: http://www.facebook.com/pages/Lavinia/169448303092756
– Bandcamp: http://laviniapuntoesclamativo.bandcamp.com/

Reviews

 

“(…) Dieci tracce col punto esclamativo a cornice di uno specchio sull’adolescenza che fugge, vocalità ancora acerba ma doti e stoffa che si intuiscono tra le righe, nell’interpretazione, nel delineare a pastello vividi tratti di realtà coetanea. Arpeggi morbidi di chitarra acustica, giochi di glockenspiel folkpop, raddoppi vocali: Sempreverde intensa e scorrevole, già dice cosa aspettarsi.

E subito una cover destrutturata per quanto fosse possibile agire ancora, Anyone else but you dei Moldy Peaches tradotta in italiano con Juno, leggera e contagiosa (cfr. Le-Li, Les Manges Tout) sempre con Matteino nel dialogo: “la tua auto ormai parla di me, ci trovi un po’ di tutto, dvd mp3″… Non lo so assume toni più complessi e intensi rispetto la minimale tessitura precedente, nell’avviluppo strumentale e nel loop degli arrangiamenti -con il violino di Violetta Lucia in evidenza- le Pony Up sono a un tiro di schioppo, mentre Labirinto è forse l’episodio migliore del lotto, un gran refrain a emendare il vago sospiro oratoriale della strofa, una facilità di simbiosi tra parole e suono che abbiamo già ascoltato da Van Houtens, e Il piccolo principe si addentra nel baby rock, di quelle favole che si twittano ai bambini prima di dormire.

L’ombra di una cometa grave d’arco, “il black out di Dio” nasconde le stelle per una sera, il gran drumming di Dainese e i cori fanno il resto per colorare il pezzo come quegli albi nelle vecchie cartolerie; Mani vicine non fa che confermare il buon lavoro retrostante e preparatorio, “concettuale” direi nella vestizione del disco, la voce di Lavinia non tradisce i suoi diciannove anni sopra una struttura adulta, non è toy pop nè twee. Rush finale con Quest’arte morirà, titolo doppiamente impegnativo, il clarinetto rigoglioso di D’Agostin e gli “occhi di una superstar della radio” veloce di sogni e consapevolezze da sfrondare, segue Due matti a ricorrere il tema dalla cover di Juno, un rapporto apparentemente improponibile sotto lo sguardo puntuto di “dentisti in BMW”, evidente che la scrittura è ancora adolescenziale e quindi c’è da attendersi uno scatto in questa direzione e l’esito elettrico maturo potrà aiutare.

Chiude Al diavolo l’anima, piccolo calembour abbastanza riempitivo nei poco sensati cinque minuti, ma non inficia assolutamente gli effetti di quella che è già più di una promessa, incastonata in un team di lavoro adeguato ed efficace made in Friuli.” ItalianEmbassy

 

“Cantautrice udinese, Lavinia, è, come dire, quella che nel suo tempo libero passa a fare qualche trasmissione indie rock con i suoi amici a Radio Onde Furlane, oppure la becchi a qualche concerto, dall’homepage festival del Cormôr, agli eventi de La Tempesta dei TARM.

E poi scopri che scrive canzoni e realizza pure un disco: Madagasca è nato negli ultimi mesi in seno alle Matteite Records di Matteo Dainese. Ma non solo, a questo debutto ci hanno lavorato altri personaggi noti della scena indie friulana quali Enrico Molteni, Lucia Gasti, Stefano Pasutto, Matteo Nimis, Roberto D’Agostin, Simone Sant, e Federico Mansutti.

E così la musica adolescenziale e molto naif di Lavinia si colora di arrangiamenti coinvolgenti come il gioco di suoni dell’iniziale Sempreverde, o la love-song tenue-tenue a due voci, di Juno. Tutto molto dolce e delicato, con quel gusto adolescenziale alla TARM di un tempo, e mi piace in proposito il richiamo all’uomo nero di Non lo so. Ha quel tocco intellettualoide alla Donà che ti compare davanti ascoltandoti Il piccolo principe, oppure quel richiamo onirico alla Flaming Lips di Mani vicine. E poi a me piacciono le chitarre dinamiche di Quest’arte morirà, che ti travolgono in modo raffinato (?).

Ci sono tanti sogni, tanta poesia, tanta delicatezza in questo primo disco di Lavinia, cantautrice naif per chi ha abbastanza sensibilità da fermarsi ad ascoltare. Credo sia un buon debutto ed è pure ammirevole che tutta questa squadra di musicisti abbia voluto credere in lei, riempiendo le sue canzoni di suoni onirici e atmosfere surreali. Si, fatela scrivere, cantare, sognare, da questa delicatezza naif non può che nascere qualcosa di buono… ”  Musicologi

Drink To Me

Drink To Me

(it) Considerati dalla stampa specializzata come una delle band più interessanti del panorama indipendente italiano, tornano ora i Drink To Me con un nuovo e attesissimo lavoro, a distanza di due anni da “Brazil”. Nel loro “S”, i Drink To Me (ora tornati ad essere un quartetto) dimostrano una volta in più di non essere per nulla appagati, proseguendo incessanti nel loro percorso stilistico in continua evoluzione, fatto di incroci di batterie, synth e bassi pulsanti.

Musica per orecchie esigenti e instancabili, che non si accontentano soltanto di suoni accattivanti, ma cercano un’idea, una sensibilità, uno stile. Il risultato sono dieci tracce eclettiche, fresche e internazionali.

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(en) Active since 2002 Drink To Me have released 4 DIY EPs, 3 albums and a 7”.

Their official debut album (Don’t Panic, Go Organic – 2008, Midfinger Records) was recorded in London and mixed by Andy Savours (Blonde Redhead, Yeah Yeah Yeahs, The Killers, The Horrors).

The second one, Brazil, was released in 2010, following their signing to one of Italy’s premier independent labels, UNHIP Records. Alessio Natalizia (Banjo or Freakout, Walls, Disco Drive) produced most of the tracks on the album, and also co-wrote a couple of them.

The last one, titled “S”, is their masterpiece. During the last years the band changed its sound, putting the rock matrix in the background, and letting the electronic side take over with kraut-minimalist repetition and rhythm sections tasting Brazil and West Africa. “S” contains an original mixture of tribalism, black music, psychedelia and a honest pop attitude. They dropped guitars and built harmonic walls of samples and synthesizers. Deep low frequenciens and interlocking beat patterns sorround a freely developing singing.

They’ve since toured all over Italy, playing about 200 shows (and celebrating their 100th concert as support for Editors in Turin). Their shows are powerful, irresistible and spontaneous: a punch in your stomach to make you smile!

Facebook: http://www.facebook.com/drinktome

Website: http://www.drinktome.net/

Reviews

“Una storia fatta di passi lunghi e decisivi, quella dei torinesi Drink To Me. Nel 2010 lodavamo la pregevole mistura di Liars, afrobeat, kraut, psichedelia di un Brazil che rispetto a un esordio più interlocutorio guadagnava punti e ora il suo successore ci spinge ad avventurarci ancora più lontano. E il bagaglio non è dei più leggeri, visto e considerato che S riprende in parte le istanze del precedente lavoro (soprattutto gli onirismi à la Animal Collective) svestendole degli accorgimenti più tribal-post punk per fare posto ai sintetizzatori.

Operazione a rischio banalizzazione se ci pensate, visti i tempi dominati da un’estetica korgiana ormai onnipresente e quasi mai sfruttata a dovere. E invece il combo arriva a una definizione di un suono avvincente, tarato al millesimo, multisfaccettato ma coerente, a sancire così un’identità perfettamente in linea con il contemporaneo: la ridondanza di M.I.A sul clapping dell’iniziale Henry Miller, gli Of Montreal/Field Music di una Picture Of The Sun ideale singolo, il Sufjan Stevens psichedelico di The Elevator, l’electro dei nostrani Aucan in Dig A Hole With A Needle.

A tutto questo si aggiunga un’attitudine pop da grande band, in generale più esposta rispetto agli esordi, ma anche capace di farsi scoprire con la dovuta calma in un disco che nei suoni è un sbronza colossale e da quelli chiede di partire. Armonie vocali e linee melodiche pompate da una produzione dispersa in un caleidoscopio di timbri e colori: eppure svestitelo, questo S, e vi accorgerete che tutto funziona anche senza bisogno di additivi. E non è questo, forse, il miglior complimento che si possa fare alla terza fatica dei Drink To Me?” Sentireascoltare

 

 

Shiva Racket

Shiva Racket

Gli Shiva Racket sono Francesco Orcese e Simone Pavan dei Likely Lads, Giovani Rabuffetti degli Skinniboys & Fabrizio Strada dei Bile Noir.  Uniti dall’ amore per il Grunge e per gli anni 90, danno vita nel 2011 al progetto con l’intento di affiancare queste sonorità a quelle degli anni ’00.

In questo primo anno di vita hanno già avuto modo di esibirsi in numerosi live dentro e fuori Milano, facendo anche da spalla a band internazionali come S.C.U.M. e Band Of Skulls.
Si sono da poco aggiudicati anche uno slot al leggendario Cavern Club di Liverpool per L’International Pop Overthrow Music Festival.

– Facebook:http://www.facebook.com/pages/Shiva-Racket/100195556750226

– SoundCloud:http://soundcloud.com/shivaracket/

The Remington

The Remington

“Ecco cosa succede quando scopri l’America: ti ritrovi con un paio di amici a divorare come un farcitissimo burrito tutta quella georgafia musicale che va dalla West Coast 60s fino al Paisley Underground, dal Blues torrido degli Stones di Sticky Fingers fino ai raggi cosmici dei Byrds di 5th Dimension. Normale amministrazione se nasci yankee, meno “normale” se nasci a Milano. I Remington fanno parte della seconda categoria: partendo dalle singole e diversificate esperienze dei componenti, si riuniscono sotto un ombrello comune, quello che li ripara dalla pioggia inquinata del capoluogo lombardo, e li espone alla “Rain Parade” ben più colorata del loro “pallino” sonoro. Sono recentemente approdati al debutto discografico su 7”.”
“I Remington sono i fratelli Lorenzo e Niccolò Fornabaio rispettivamente chitarra-voce e batteria, con Michele Comi al basso”

– Facebook: http://www.facebook.com/remingtontheband

– BandCamp: http://theremington.bandcamp.com/

 

Reviews

 

“Un 45 giri imperdibile per tutti gli amanti del più classico folk rock americano e del paisley sound degli anni Ottanta. I Remington esordiscono con “Untitled n. 2″ e “Shame On You”, due brani pubblicati su vinile formato 7″ da Tre Accordi Records.
Il gruppo – composto dai fratelli Fornabaio (Lorenzo: voce e chitarra, Niccolò: batteria) e Michele Comi (basso) – pur ispirandosi a sonorità del passato, si contraddistingue per un songwriting fresco, personale, mai scontato.
Grazie a numerosi concerti nei circuiti alternativi e date di spalla a nomi importanti del genere come Dan Stuart (voce e chitarra dei Green On Red), iRemington possono già contare su un piccolo ma compatto e fedele seguito negli ambienti underground.”  Tre Accordi Records

“Hey hey, my my… Rock and roll can never die.

I Remington esordiscono nel più classico dei modi, pubblicando un 45 giri con due canzoni: Untitled n.2 sul lato A e Shame On You sul lato B. Altrettanto classico è il suono della band: folk rock, paisley sound, alt country… Musica americana.

Lorenzo – voce e chitarra, suo fratello Niccolò – batteria, e Michele – basso, hanno come punti di riferimento gruppi degli anni Sessanta come i Byrds, il southern rock del decennio successivo, poi Tom Petty, Green On Red e, arrivando a questo XXI secolo, Wilco.

Ma il vero punto di forza dei Remington sono proprio le canzoni: eleganti, pop, mai prevedibili o scontate. È una band che conosce bene il passato, la storia del rock, ma non si limita a riproporne i cliché. Anzi, i Remington vivono il presente e guardano al futuro.

Il singolo di debutto dei Remington è stato registrato e mixato da Piero Villa e Gian Luca Romele allo studio Rumorebianco, nel cuore della Valcamonica. Prodotte dallo stesso Romele, Untitled n.2 e Shame On You sono pubblicate sia in formato digitale che su vinile da Tre Accordi Records. La scelta di uscire con un 7″ non è né passatista né dettata dal ritorno trendy del vinile. Semplicemente, è il miglior biglietto da visita possibile. Lorenzo, Niccolò e Michele suonano esattamente così, anche dal vivo.

Niente fronzoli in studio, niente fronzoli sul palco. Solida sezione ritmica, grandi riff di chitarra, grandi melodie, grandi canzoni. IRemington ti raccolgono su una strada di Milano e ti portano lontano, sulla costa californiana e nei deserti di Texas e Arizona.

Come canta Neil Young, my my, hey hey, rock and roll is here to stay…” Troublezine

 

Edipo

Edipo

EDIPO e’ un’artista in continua evoluzione ma con un obiettivo costante: fare musica Pop. E’ come affascinato dall’apparente semplicità di creare il ritornello perfetto, arte che è forse la piu’ difficile dell’ambito musicale. Per fare cio’ alla base delle sue canzoni c’è sempre un minuzioso lavoro di ricerca nella stesura dei testi. Pungente e dotato di un non comune dono della sintesi riesce a fotografare la sua vita e la societa’ in poche ma efficaci battute.
Dopo aver conquistato il consenso univoco della critica con il suo primo lavoro solista Hanno ragione i topi , il musicista gardesano si e’ messo subito al lavoro per il suo secondo disco, Bacio Battaglia, in uscita sempre per Foolica Records all’inizio del 2012.
Anche nel nuovo album Edipo, al secolo Fausto Zanardelli, produttore musicale di lavoro, Bastian Contario per attitudine, gioca con i sintetizzatori e gli strumenti piu’ classici per cercare un’amalgama di suoni su cui srotolare le sue canzoni.
Nonostante la particolarita’ dei punti di riferimento, nelle canzoni di Edipo si ritrova un gusto tutto italiano, classico dei cantautori dei fine settanta, unito e contrastato da quella schiettezza e quell’uso della metrica di chi ha fatto propri i dettami della musica hip hop e li riutilizza decontestualizzandoli, facendo un abile uso di una voce dai toni singolari.
Un poeta contemporaneo che ha molto caro il tema della solitudine. Divertente e sempre molto intelligente nei testi, colpisce subito ma se si scava nel profondo, le sorprese sono sempre di piu’.

– Facebook: http://www.facebook.com/pages/EDIPO/253983461113

Reviews

“Bravo a scrivere, ma soprattutto bravo a interpretare con una certa lungimiranza un indiemondo nostrano con le sue regole e i suoi dazi da pagare. Idroscalo rappresenta, in questo senso, il sunto ideale: quale miglior occasione per imporsi sulla “scena” di un brano che motteggia senza pietà la “scena” stessa? Con un MIAMI (festival organizzato dal portale rockit.it) che diventa la scusa per svelare altarini e degenerazioni modaiole di un universo a sé stante a suon di “Non andrò al Miami perché ho già saputo / che ci va un’altra band simile alla mia / ma loro sono più magri” o “Non andrò al Miami anche se questo inverno / in un locale che è gestito da un mio amico / una volta ho aperto Dente”.” Sentireascoltare

“Se fossimo in un Paese intelligente ed autoironico il fenomeno di massa degli anni ’10 non sarebbero I Cani ma Fausto Zanardelli, in arte Edipo; con Bacio Battaglia infatti conferma tutte le ottime premesse dell’esordio Hanno ragione i topi (datato 2010) ed anzi costruisce un album che non le manda a dire, un disco che riesce sia a far canticchiare sia a far riflettere. Il tutto condito con abbondanti dosi di cinismo (che non guasta mai).” Shiver Webzine

AUCAN

AUCAN

Aucan

(it)  Unendo i principi del rock sperimentale, della dubstep e dell’elettronica in generale, gli Aucan hanno creato uno stile, un’energia ed un’esperienza live unici. Dal 2009 attraversano l’Europa dove hanno suonato più di 300 show, aprendo per Placebo, Tricky, Matmos, Antipop Consortium, Andrew Hung (Fuck Buttons), Steve Aoki, Dinosaur Jr, Crookers, PVT (warp), Sole and The Skyrider band, Ramadanman, Black Heart Procession, Lars Hornveth, DJ Food,  Architecture in Helsinki e altri. In Italia si affermano come fenomeno underground pubblicando “Black Rainbow” su Tempesta. l’Inghilterra di Massive Attack, Portishead e delle nuove produzioni dubstep (Starkey,Italtek) come territorio di riferimento. In Heartless troviamo la matrice AUCAN nella sua forma più unica: mood malinconico, batteria micidiale, synth eterei e voce processata a disegnare le melodie. Nei pezzi più aggressivi il cantato farà uso anche di stili derivati dal rap e dall’hardcore (SPL che ricorda i Beastie boys, Away!), sommandosi all’energia dei bassi per un risultato da esplosione dell’impianto. (…) In chiusura la monolitica title track  Black Rainbow riassume con poche parole il concept del disco: “In sky where no star is shining / There’s a light where nobody stands”:  un arcobaleno oscuro, quello della copertina,  che è la luce sprigionata dalla morsa delle tenebre.

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(en) Starting out as a young math rock trio, Aucan quickly built themselves from the ground up. They fused their philosophical and music conservatory backgrounds with elements of electronic and experimental rock, forming a sound both technical and visceral. But it was with the material from their 2010 DNA EP and subsequent Black Rainbow album, that both the media and global music community began to take note. Their music began incorporating elements of dubstep and downtempo, yet didn’t fall into clearly defined categories. With their amalgam of electronic basses, live drums and sweeping harmonized synth lines, they throttled audiences of thousands, opening for Placebo, Tricky, Steve Aoki, Matmos and Antipop Consortium among others in the 300 plus concerts they have performed since 2009. Recently Aucan has collaborated with a wide array artists for their new release Black Rainbow Remixes including MC Dälek, Scorn, Shigeto, Robot Koch, Spex MC and Niveau Zero. They have also started their own label, #Aucanize, to handle the digital distribution of this record as well as material from like-minded artists. – Website: http://aucanize.com/ – Facebook: http://www.facebook.com/AUCANOFFICIAL

Reviews

“È una vera e propria enciclopedia delle elettroniche degli ultimi 20 anni, il sophomore del trio bresciano formato da Dario Dassenno (batteria), Francesco D’Abbraccio (chitarra, synth, effetti) e Giovanni Ferliga (synth, voce, chitarra e sampler). Black Rainbow non somma soltanto ciò che è rintracciabile nelle influenze musicali del progetto, ma rielabora, fonde e confonde suggestioni, atmosfere e slanci in un magma personale. Portishead, witch-house, Autechre, nu-rave, hauntology, Warp, industrial, Planet Mu, dubstep si sfiorano, si toccano e copulano in un percorso che risulta alla fine riconoscibilmente personale. Proprio come nell’immagine di copertina: una esplosione di colori diversi che si fa paradigma del prisma sonoro tendente al nero racchiuso in Black Rainbow (…) un disco oscuro e screziato, potente e denso, perfettamente equilibrato (…) in grado di rivoltare l’elettro(ck) di questi anni dal di dentro e lanciare una sonda verso il domani.” Sentireascoltare

Ci si perde nel descrivere il suono degli Aucan. C’è una strana coesistenza tra parti aggressive e altre più morbide. Ad esempio i synth: sono rotondi, con quel tocco elegante alla Rudi Zygadlo, nel frattempo la batteria (il batterista Dario Dassenno è un metronomo) avanza decisa senza lasciarsi scappare un colpo. Non è il grime che si ripulisce per accompagnarsi all’R’n’B (ad esempio: Tinie Tempah con Kelly Rowland, Katy B o James Blake, ed è un peccato che tra le tante di “Black Rainbow” non ci sia anche quest’anima) ma non è nemmeno il dubstep grasso-che-cola invecchiato troppo in fretta. E’ un cortocircuito diverso: la musica implode violenta in un contenitore a tenuta stagna. Caos controllato, insomma. Agli Aucan piaccciono gli anni duemila, Aphex Twin (“Embarque”, “Red Minoga”), il math rock, il post rock e le canzoni con i grandi cori. Il tutto mescolato. Con il giallo, il rosso e il blu si ottiene il nero? Gli Aucan fissano i colori prima che si annullino tra di loro, sono bravi a cogliere i contrasti cromatici. Mi pare che la copertina sia esplicativa. Altri esempi: “Blurred”, con la voce di Angela Kinczly, parte con suggestioni alla Portishead ma a scavare tra i campioni si trovano distorsioni che tremano come le pozzanghere quando passano i tram, rumori lignei e loop liquidi. “Red Minoga (short edit)” è un altro pezzone: otto battute di dub e poi dritta, tanti blip, piccole partiture IDM, una grande apertura di piano, voci, chitarre, crescendi in reverse, pause improvvise e di nuovo melodie. E anche quando toccano punti davvero cattivi e ignoranti che manco Chase & Status (“Away!”), noti che il sole sta proiettando un’ombra diversa rispetto ai contorni su cui hai meditato per tutti e cinque i minuti, e lì scopri il risvolto psichedelico della canzone. “Black Rainbow” termina con un coro malinconico e distorsioni libere, forse hanno un lato emotivo ancora da affrontare, magari ci penseranno nel prossimo disco. Impressiona come solo dieci mesi fa queste sonorità fossero appena accennate in un piccolo Ep, ora siamo davanti ad un monolite. Alcuni spunti possono essere considerati datati, in più la musica degli Aucan muove la testa ma difficilmente ti porta a ballare, e forse i tre vivono in sala prove senza sapere cosa accade fuori; ma se tra cinque anni rileggerete questa recensione probabilmente ci aggiungerete un per fortuna. Sono un gruppo formidabile, qualsiasi evoluzione arriverà in futuro non farà altro che aggiungere tasselli ad un suono soltanto loro e di nessun altro. Affascinanti su disco, micidiali dal vivo. L’Italia ha trovato i suoi nuovi Zu.” ROCKIT

 

Croco

CROCO

Lo – Fi Pop

Croco nasce, in barba a qualsiasi verosimiglianza naturalistica, nell’autunno del 2010, ennesima variazione sul tema lui/lei. Lui e lei che, musicisti da sempre, dopo essersi già trovati a suonare assieme all’interno di un gruppo, decidono di mettersi in proprio e di contare solamente sulle proprie forze; lui e lei, dicevamo, e basta. L’obiettivo è quello di raggiungere il grado zero della propria scrittura, così da provare finalmente a chiudere il cerchio delle proprie ossessioni. Per fare ciò servono innanzitutto una chitarra e un basso, e poi una drum machine e una vecchia tastiera, più altri strumenti da aggiungere all’occorrenza. Quella che viene fuori è una musica notturna, a tratti sensuale, sospesa tra un’elettronica un po’ low fi e suoni più elettrici/acustici, dove il sacrosanto riconoscimento dell’importanza del ritmo per una buona canzone pop non distrae dalla ricerca della melodia perfetta.

Sono una manciata di canzoni, sono una serie di istantanee un po’ sfocate dove convivono la voglia di raccontarsi e il piacere affabulatorio di raccontare, sono lui e lei, come da copione, con i capelli un po’ arruffati, gli strumenti sottobraccio e lo sguardo fisso chissà dove.

– Facebook: http://www.facebook.com/listentocroco

– Soundcloud: http://soundcloud.com/croco-o/sets/lovepotion#

– Bandcamp: http://gonecore.bandcamp.com/album/croco-ep

L'Officina Della Camomilla

L'officina della camomilla

Indie Folk

“Di cosa stiamo parlando? Difficile definirlo. Un tizio che vomita un arcobaleno, per esempio.”

L’officina della camomilla è un movimento artistico, culturale, musicale, filosofico, poetico, invernale, gastronomico, calcistico, randagio/casalingo, estremamente mattutino fondato sulla tristezza e sui biscotti.
Musica da cameretta che sviluppa la fantasia e le sbronze altrui. Inni alla droga e a tutto ciò che è colorato.

Canzoni da cameretta, testi che sono poemi adolescenziali e polaroid pop, arrangiamenti minimali lo-fi di chitarra acustica e tastiere giocattolo.

I componenti sono:

Francesco De Leo (voce, testi, chitarra), Claudio Tarantino (tastiere casio, giocattoli), Marco Amadio (basso).

tutti i brani (disponibili in rete) sono registrati con garageband 09.

– Facebook: http://www.facebook.com/pages/Lofficina-della-camomilla/110383238992084

- Soundcloud: http://soundcloud.com/lacamomilla/

Reviews

“Cosa può nascere dalla barbarica unione tra voci impastate dalle notti insonni, chitarre scordate, tastierine giocattolo e mal di vivere post-adolescenziale? Se a dosare il tutto è una mente sensibile e distorta con una spiccata vena poetica, il caos può partorire una creatura bella come L’Officina Della Camomilla. (…)

Il malessere esistenziale viene rigurgitato in un flusso caleidoscopico, lontano dalla rabbia giovane e cieca, generando un folkitsch che trascina con sé Piero Ciampi e gli MGMT, Dente e Dino Fumaretto, prende Vasco Brondi e lo immerge in una sostanza caramellosa e malsana. Così piace a Francesco De Leo, mente e corpo dell’Officina della Camomilla (annata ’91, giusto per chiarire).”  Federico Anelli per Shiver Webzine

 

“Come faceva la canzone? Ti amo, poi ti odio, poi ti amo. Ecco, il disco dell’Officina della Camomilla è tutto qui. A fasi alterne, si passa dal fastidio alla piacevolezza, dalla voglia di abbracciarli a quella di insultarli. A respingere sono registrazione ai limiti dell’incomprensibile, voci improponibili, musiche pressoché inesistenti.

In sintesi, un’esaltazione dell’estetica lo-fi da cameretta talmente sfacciata da sembrare pretestuosa, quasi paracula. Roba che, messa così tutta in fila, dà l’effetto del classico gessetto strisciato sulla lavagna. Eppure, ascoltando il disco, ci si ritrova (molto) spesso a sorridere.

È vero, c’è tutto quello appena descritto, ma c’è anche un approccio a metà tra il gioco e il twee, capace di smorzare ogni pretenziosità e di buttarla nel cazzeggio tra amici, con dosi di ingenuità e spontaneità tali da ribaltare le prime impressioni negative. L’Officina della Camomilla riesce infatti a creare un mondo tutto suo. (…) Così finisci per perderti e divertirti, dicendo che in fondo non sono per niente male. Pochi minuti dopo, però, sei già pronto a premere stop giurando di non volerli ascoltare più. Ti amo, poi ti odio, poi ti amo. Basta saperlo.” ROCKIT

Girless & The Orphan

Girless & The Orphan

 

Indie/Folk/Punk

 

Girless è un ragazzo sensibile di 25 anni. The Orphan è un precario sensibile di 31.

La musica di Girless & The Orphan vorrebbe dar voce a tutti i giovani e sensibili precari del mondo.

Scrivono canzoni folk dal 2008, ma siccome poi finisce che le distorcono sempre, diventano canzoni un po’ punk. Quindi li defineremo convenzionalmente dei punkautori.

Hanno all’attivo due ep, acclamati dalla critica e dal pubblico di settore e non, e uno split con gli amici Verily So .

– Sito ufficiale: www.girlessandtheorphan.tumblr.com

– Facebook: www.facebook.com/girlessandtheorphan

– Soundcloud: www.soundcloud.com/girlessorphan

Reviews

“…che i Girless & Orphan siano davvero sentimentali, che abbiano una vera rabbia contadina, che, insomma, siano onesti, o che sia solo una finta patina zotica a mascherare degli hard-rocker cafoni prestati al folk, non lo so. Queste cinque canzoni sono lo schiaffo del soldato. Hanno quell’ironia tipo cassa dritta + that’s all folks che mi ricorda i Rednex (sì, loro) oppure la prima volta che ho visto gli Eels dal vivo, e loro si sono presentati in tre con un elmetto in testa e hanno rifatto tutte le ballad in versione punk.

I Girless sono in due e, secondo me, hanno quel piglio lì: nascondono i sentimenti sotto il tappeto, lasciano trapelare qualche storia, le classiche che diventano dei classici una volta che ti sei seduto al bancone e inizi a bere; il resto è rock’n’roll. Hanno l’anima a metà tra il distorto e il triste, alla Neutral Milk Hotel, un taglio più introspettivo/favolesco, alla Decemberist, e un’attitudine tamarra che non sembra mancare mai se vivi a Rimini.

A mio avviso sanno cos’è l’amore, i due, ma si guardano bene dal descrivertelo; meglio raccontarti di un sogno dove ogni cosa va alla grande, si scopa come ricci, i problemi sono rimandati a domani, ma domani non arriva. Il tutto con un inglese da scuola elementare, che smussa queste tristezze che diventano da sussidiario scolastico. Sempre uguali. I nomi cambiano ma la ragazza è sempre la stessa. The Same Old Story, dicevano i Penniwise, anche se loro parlavano di genitori. Perchè, alla fine, secondo me, i genitori c’entrano sempre. Insomma, Girless & Orphan è davvero un bel nome. I Girless & Orphan sono bravi, molto. Le canzoni dei Girless & Orphan sono un fulmine a ciel sereno. E direi che, per 16 minuti di musica, basta così.”  Sandro Giorello/Rockit

 

“…il  fatto è che i Girless & The Orphan ti parlano. Direttamente. Al cuore. Senza quella tristezza unilaterale che spesso caratterizza alcuni songwriters ma che ti fa vacillare in un modo particolare. Si parte con una bomba a mano, infatti. Wings behind our backs. E ti viene voglia di saltellare come un idiota. Senza in realtà motivo. …But if you’re not sure we will never go back, we will stay up here, we will put our wing behind our back. Hang on, wait: how am I suppose to do all this stuff without you here? Si ricade sempre in qualche posto non troppo illuminato. As You Fall. Dove ti trovi a far mezzi sorrisi sollevando il tappeto e guardando qualche ricordo che ti manca particolarmente. Irrecuperabile. Ed è un’altalena. Come nei sentimenti veri. Così diversi da quelli di plastica. Torna la grancassa e il tamburello in Saturday Night Liver. E poi November 17th, che mi racconta più di quello che vorrei sentire. E la perla finale. Another Place. Mi sbriciolo. But now we are even, where’s the happier life, the brilliant side?”  THE BREAKFAST JUMPERS