Cosmo (pseudonimo che nasconde Marco Bianchi dei Drink To Me) è il cantautore del futuro anteriore, nella sua musica gli stilemi tipici di certa canzone d’autore convivono con l’elettronica e la psichedelia. Non usa chitarre acustiche ma campionatori, sintetizzatori, batterie elettroniche e suoni generalmente confusi e potenti. Mischia Battisti con gli Animal Collective, Dan Deacon con Jovanotti, Gold Panda e Battiato, dando via a un frullato coloratissimo e dal gusto inedito.
Cosmo inizia laddove finisce “S” dei Drink To Me, con l’aggiunta di una componente più “estrema” a livello di produzione (estremamente pop, estremamente compressa, estremamente elettronica…).
Il suo primo album è “Disordine” è in uscita a maggio su 42 Records (I Cani, Colapesce, Criminal Jokers e tanti altri), anticipato dal singolo “Ho visto un Dio” presentato in anteprima su Radio2Rai.
Ma Cosmo già guarda avanti e non vede l’ora di calcare il palco con il suo show che unisce caos e divertimento. L’approccio è quello di un live elettronico: nessuno strumento, solo effetti e campionatori, tutto viene manipolato e modificato in tempo reale da Marco, voce compresa, come in questo video realizzato dal vivo per Wired (http://tv.wired.it/entertainment/2013/04/15/cosmo-la-sua-numeri-e-parole-live-dalla-sala-da-pranzo.html). Sul palco con lui non ci sarà una band, ma due ballerine. L’aspetto visuale sarà curato tanto quanto quello musicale e non mancheranno le sorprese. Quello di Cosmo non è un concerto qualsiasi ma una vera e propria festa dove conta solo lasciarsi andare. Non aspettatevi il solito live del gruppo indie, aspettatevi il delirio.
“Il sito del settimanale femminile Grazia lo ha già indicato tra le novità italiane da seguire con più attenzione e l’anteprima del singolo avvenuta su Radio Due Rai, all’interno del programma Babylon, ha generato una piccola corsa alla scoperta di questo nuovo progetto di Marco Jacopo Bianchi, già cantante e fondatore dei Drink To Me, qui alla prima prova con la lingua italiana. “Ho visto un Dio” è più di un video di un singolo apripista, un vero e proprio manifesto programmatico che svela al pubblico le peculiarità e gli intenti di Cosmo: mettere a confronto il pop di qualità, le sonorità elettroniche più in voga e la tradizione musicale italiana.
Il video, girato da Gabriele Ottino per il collettivo Superbudda, rappresenta un’immersione nei tratti più psichedelici del pop di Cosmo. Il confine tra le realtà e le proiezioni è labilissimo.” Impatto Sonoro
“Ho visto un Dio” è più di un video di un singolo apripista, un vero e proprio manifesto programmatico che svela al pubblico le peculiarità e gli intenti di Cosmo: mettere a confronto il pop di qualità, le sonorità elettroniche più in voga e la tradizione musicale italiana.
Il video, girato da Gabriele Ottino per il collettivo Superbudda, rappresenta un’immersione nei tratti più psichedelici del pop di Cosmo. Il confine tra le realtà e le proiezioni è labilissimo.
Il disordine vince su tutto e si fa fatica a comprendere cosa sia vero e cosa percepito.
Le ballerine, lo spaesamento dato dai toni accesi dei colori, il bosco, sono tutti elementi che servono a inquadrare quello che è a tutti gli effetti uno dei tratti fondamentali di Cosmo: il caos!” Rockon
(it) Considerati dalla stampa specializzata come una delle band più interessanti del panorama indipendente italiano, tornano ora i Drink To Me con un nuovo e attesissimo lavoro, a distanza di due anni da “Brazil”. Nel loro “S”, i Drink To Me (ora tornati ad essere un quartetto) dimostrano una volta in più di non essere per nulla appagati, proseguendo incessanti nel loro percorso stilistico in continua evoluzione, fatto di incroci di batterie, synth e bassi pulsanti.
Musica per orecchie esigenti e instancabili, che non si accontentano soltanto di suoni accattivanti, ma cercano un’idea, una sensibilità, uno stile. Il risultato sono dieci tracce eclettiche, fresche e internazionali.
(en) Active since 2002 Drink To Me have released 4 DIY EPs, 3 albums and a 7”.
Their official debut album (Don’t Panic, Go Organic – 2008, Midfinger Records) was recorded in London and mixed by Andy Savours (Blonde Redhead, Yeah Yeah Yeahs, The Killers, The Horrors).
The second one, Brazil, was released in 2010, following their signing to one of Italy’s premier independent labels, UNHIP Records. Alessio Natalizia (Banjo or Freakout, Walls, Disco Drive) produced most of the tracks on the album, and also co-wrote a couple of them.
The last one, titled “S”, is their masterpiece. During the last years the band changed its sound, putting the rock matrix in the background, and letting the electronic side take over with kraut-minimalist repetition and rhythm sections tasting Brazil and West Africa. “S” contains an original mixture of tribalism, black music, psychedelia and a honest pop attitude. They dropped guitars and built harmonic walls of samples and synthesizers. Deep low frequenciens and interlocking beat patterns sorround a freely developing singing.
They’ve since toured all over Italy, playing about 200 shows (and celebrating their 100th concert as support for Editors in Turin). Their shows are powerful, irresistible and spontaneous: a punch in your stomach to make you smile!
“Una storia fatta di passi lunghi e decisivi, quella dei torinesi Drink To Me. Nel 2010 lodavamo la pregevole mistura di Liars, afrobeat, kraut, psichedelia di un Brazil che rispetto a un esordio più interlocutorio guadagnava punti e ora il suo successore ci spinge ad avventurarci ancora più lontano. E il bagaglio non è dei più leggeri, visto e considerato che S riprende in parte le istanze del precedente lavoro (soprattutto gli onirismi à la Animal Collective) svestendole degli accorgimenti più tribal-post punk per fare posto ai sintetizzatori.
Operazione a rischio banalizzazione se ci pensate, visti i tempi dominati da un’estetica korgiana ormai onnipresente e quasi mai sfruttata a dovere. E invece il combo arriva a una definizione di un suono avvincente, tarato al millesimo, multisfaccettato ma coerente, a sancire così un’identità perfettamente in linea con il contemporaneo: la ridondanza di M.I.A sul clapping dell’iniziale Henry Miller, gli Of Montreal/Field Music di una Picture Of The Sun ideale singolo, il Sufjan Stevens psichedelico di The Elevator, l’electro dei nostrani Aucan in Dig A Hole With A Needle.
A tutto questo si aggiunga un’attitudine pop da grande band, in generale più esposta rispetto agli esordi, ma anche capace di farsi scoprire con la dovuta calma in un disco che nei suoni è un sbronza colossale e da quelli chiede di partire. Armonie vocali e linee melodiche pompate da una produzione dispersa in un caleidoscopio di timbri e colori: eppure svestitelo, questo S, e vi accorgerete che tutto funziona anche senza bisogno di additivi. E non è questo, forse, il miglior complimento che si possa fare alla terza fatica dei Drink To Me?” Sentireascoltare
(it) Unendo i principi del rock sperimentale, della dubstep e dell’elettronica in generale, gli Aucan hanno creato uno stile, un’energia ed un’esperienza live unici. Dal 2009 attraversano l’Europa dove hanno suonato più di 300 show, aprendo per Placebo, Tricky, Matmos, Antipop Consortium, Andrew Hung (Fuck Buttons), Steve Aoki, Dinosaur Jr, Crookers, PVT (warp), Sole and The Skyrider band, Ramadanman, Black Heart Procession, Lars Hornveth, DJ Food, Architecture in Helsinki e altri. In Italia si affermano come fenomeno underground pubblicando “Black Rainbow” su Tempesta. l’Inghilterra di Massive Attack, Portishead e delle nuove produzioni dubstep (Starkey,Italtek) come territorio di riferimento. In Heartless troviamo la matrice AUCAN nella sua forma più unica: mood malinconico, batteria micidiale, synth eterei e voce processata a disegnare le melodie. Nei pezzi più aggressivi il cantato farà uso anche di stili derivati dal rap e dall’hardcore (SPL che ricorda i Beastie boys, Away!), sommandosi all’energia dei bassi per un risultato da esplosione dell’impianto. (…) In chiusura la monolitica title track Black Rainbow riassume con poche parole il concept del disco: “In sky where no star is shining / There’s a light where nobody stands”: un arcobaleno oscuro, quello della copertina, che è la luce sprigionata dalla morsa delle tenebre.
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(en) Starting out as a young math rock trio, Aucan quickly built themselves from the ground up. They fused their philosophical and music conservatory backgrounds with elements of electronic and experimental rock, forming a sound both technical and visceral. But it was with the material from their 2010 DNA EP and subsequent Black Rainbow album, that both the media and global music community began to take note. Their music began incorporating elements of dubstep and downtempo, yet didn’t fall into clearly defined categories. With their amalgam of electronic basses, live drums and sweeping harmonized synth lines, they throttled audiences of thousands, opening for Placebo, Tricky, Steve Aoki, Matmos and Antipop Consortium among others in the 300 plus concerts they have performed since 2009. Recently Aucan has collaborated with a wide array artists for their new release Black Rainbow Remixes including MC Dälek, Scorn, Shigeto, Robot Koch, Spex MC and Niveau Zero. They have also started their own label, #Aucanize, to handle the digital distribution of this record as well as material from like-minded artists. – Website: http://aucanize.com/ – Facebook: http://www.facebook.com/AUCANOFFICIAL
Reviews
“È una vera e propria enciclopedia delle elettroniche degli ultimi 20 anni, il sophomore del trio bresciano formato da Dario Dassenno (batteria), Francesco D’Abbraccio (chitarra, synth, effetti) e Giovanni Ferliga (synth, voce, chitarra e sampler). Black Rainbow non somma soltanto ciò che è rintracciabile nelle influenze musicali del progetto, ma rielabora, fonde e confonde suggestioni, atmosfere e slanci in un magma personale. Portishead, witch-house, Autechre, nu-rave, hauntology, Warp, industrial, Planet Mu, dubstep si sfiorano, si toccano e copulano in un percorso che risulta alla fine riconoscibilmente personale. Proprio come nell’immagine di copertina: una esplosione di colori diversi che si fa paradigma del prisma sonoro tendente al nero racchiuso in Black Rainbow (…) un disco oscuro e screziato, potente e denso, perfettamente equilibrato (…) in grado di rivoltare l’elettro(ck) di questi anni dal di dentro e lanciare una sonda verso il domani.” Sentireascoltare ”
Ci si perde nel descrivere il suono degli Aucan. C’è una strana coesistenza tra parti aggressive e altre più morbide. Ad esempio i synth: sono rotondi, con quel tocco elegante alla Rudi Zygadlo, nel frattempo la batteria (il batterista Dario Dassenno è un metronomo) avanza decisa senza lasciarsi scappare un colpo. Non è il grime che si ripulisce per accompagnarsi all’R’n’B (ad esempio: Tinie Tempah con Kelly Rowland, Katy B o James Blake, ed è un peccato che tra le tante di “Black Rainbow” non ci sia anche quest’anima) ma non è nemmeno il dubstep grasso-che-cola invecchiato troppo in fretta. E’ un cortocircuito diverso: la musica implode violenta in un contenitore a tenuta stagna. Caos controllato, insomma. Agli Aucan piaccciono gli anni duemila, Aphex Twin (“Embarque”, “Red Minoga”), il math rock, il post rock e le canzoni con i grandi cori. Il tutto mescolato. Con il giallo, il rosso e il blu si ottiene il nero? Gli Aucan fissano i colori prima che si annullino tra di loro, sono bravi a cogliere i contrasti cromatici. Mi pare che la copertina sia esplicativa. Altri esempi: “Blurred”, con la voce di Angela Kinczly, parte con suggestioni alla Portishead ma a scavare tra i campioni si trovano distorsioni che tremano come le pozzanghere quando passano i tram, rumori lignei e loop liquidi. “Red Minoga (short edit)” è un altro pezzone: otto battute di dub e poi dritta, tanti blip, piccole partiture IDM, una grande apertura di piano, voci, chitarre, crescendi in reverse, pause improvvise e di nuovo melodie. E anche quando toccano punti davvero cattivi e ignoranti che manco Chase & Status (“Away!”), noti che il sole sta proiettando un’ombra diversa rispetto ai contorni su cui hai meditato per tutti e cinque i minuti, e lì scopri il risvolto psichedelico della canzone. “Black Rainbow” termina con un coro malinconico e distorsioni libere, forse hanno un lato emotivo ancora da affrontare, magari ci penseranno nel prossimo disco. Impressiona come solo dieci mesi fa queste sonorità fossero appena accennate in un piccolo Ep, ora siamo davanti ad un monolite. Alcuni spunti possono essere considerati datati, in più la musica degli Aucan muove la testa ma difficilmente ti porta a ballare, e forse i tre vivono in sala prove senza sapere cosa accade fuori; ma se tra cinque anni rileggerete questa recensione probabilmente ci aggiungerete un per fortuna. Sono un gruppo formidabile, qualsiasi evoluzione arriverà in futuro non farà altro che aggiungere tasselli ad un suono soltanto loro e di nessun altro. Affascinanti su disco, micidiali dal vivo. L’Italia ha trovato i suoi nuovi Zu.” ROCKIT
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